LAVORARE ALL’ESTERO NELL’ERA DIGITALE

LAVORARE ALL’ESTERO  NELL’ERA DIGITALE

LAVORARE ALL’ESTERO  NELL’ERA DIGITALE,
tra vecchie domande da porsi e nuovi social media, come è cambiata la fuga di menti e mani dal nostro Paese.

 

articolo a cura del movimento libero ed autonomo delle scuole di formazione - BRICABRAC dicembre 2015

Un tempo erano le rampanti economie del BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) che affascinavano gli “aspiranti lavoratori” italiani in cerca di fortuna all’estero. Nell’era delle competenze che viviamo oggi – dove a contare non è più il pezzo di carta ma quello che ogni individuo che vuole collocarsi nel mondo del lavoro sa realmente fare – sono altri i Paesi pronti a raccogliere menti e mani nostrane per inserirli nel tessuto economico, vedi ad esempio gli Emirati Arabi Uniti.

Come da più parti sottolineano, stiamo uscendo dalla crisi globale – anche se i dati relativi al Mezzogiorno restano costantemente in peggioramento – e questo riapre vecchi spiragli e ne crea di nuovi.

Se dei cervelli già se ne parla da anni, sono gli artigiani il nuovo trend dell’emigrazione su scala globale.

Le scuole di formazione professionale si adeguano, completando l’offerta didattica con partnership con associazioni e enti per l’inserimento lavorativo all’estero.

Tornano efficace, deve essere in linea con le richieste e il settore dell’azienda al quale si intende inviarlo. Bisogna essere coerenti, nel curriculum, con la figura professionale richiesta mete appetibili per i pizzaioli italiani, i ristoranti londinesi, e per i pasticcieri campani le lande canadesi che – diciamolo– non hanno gran cultura di babà e sfogliatelle e sono costrette a importarla dalla nostra terra.

Ma trovare un lavoro all’estero non è una passeggiata. Nei giorni scorsi, D di Repubblica ha dedicato spazio al tema, approfittando della consulenza dello staff di T-Island, società attiva nell’ambito della mobilità internazionale. Sono emersi numerosi spunti di riflessione che un giovane – o meno giovane – che vuole ricollocarsi nel mondo del lavoro deve tenere ben presenti.

Chiedersi perché si voglia lasciare l’Italia e se si è realmente disposti a farlo è la prima domanda che bisogna porsi, in maniera sincera e schietta come solitamente con noi stessi non siamo abituati a fare. Ma per il grande passo è fondamentale chiedersi anche che lavoro intendo svolgere, quante lingue conosco, quanto sono disposto ad aspettare e che propensione ho a digerire le prime porte che mi si chiudono in faccia (quasi inevitabili in ogni esperienza del genere).

Una volta che ci siamo dati le giuste risposte, viene il momento spesso sottovalutato della stesura del curriculum vitae. Talmente preso sotto gamba che Blog Lavoro, sito dedicato all’universo delle offerte occupazionali, ha sentito la necessità di spiegare ai suoi utenti come si faccia.

Nonostante, come vedremo dopo, le informazioni che circolano in Rete già parlano abbondantemente di noi, il curriculum vitae resta il nostro biglietto da visita. Affinché sia a cui mirate. In pratica, inutile evidenziare le vostre esperienze di boyscout se volete occupare un posto nella ristorazione. Una corretta grammatica, l’utilizzo giusto dei font, la formattazione, il giusto impatto grafico e l’essenzialità (o anche capacità di sintesi, se si preferisce) sono condizioni necessarie ma non sufficienti.

I tempi, dicevamo, sono cambiati e adeguare la propriapresentazione agli attuali strumenti è fondamentale.Infine, ricordatevi della vostra presenza sui social network. La ricerca annuale di “Works Trend Study” di Adecco ha finalmente sancito una verità finora solo vociferata: i selezionatori scartano il 28 percento dei candidati dopo averdato un occhio ai loro profi li social sul web.

Considerate che, una volta su internet, avete inconsciamente deciso di mettere in piazza la vostra vita, sebbene digitale. Già sei anni fa, l’attuale presidente americano Barack Obama – che pure deve a Internet gran parte del suo successo nella comunicazione – ha messo in guardia i giovani statunitensi con queste parole: «Vorrei che tutti faceste attenzione a quello che pubblicate su Facebook, perché nell’era di YouTube qualunque cosa voi facciate potrà essere tirata fuori più avanti nella vostra vita. Quando si è giovani si commettono degli errori e si fanno cose stupide. Ho sentito di molte persone che pubblicano i fatti loro su Facebook e poi fanno domanda per un lavoro e qualcuno va a fare una ricerca su di loro» Quindi, considerate il web una piazza in cui vi esponete, un luogo dove dovete essere “appetibili” nel mondo lavorativo. Come? Evitando atteggiamenti polemici, ad esempio. Restando “professionali”. Tenendo alta la propria reputazione.

Sappiate che il social recruiting è già realtà e diverse agenzie stanno già mettendo in campo validi algoritmi per profilare i candidati con le informazioni disponibili online.

E’ importante, se ci si rivolge a un ente di formazione, preferire quelli che hanno contatti diretti con agenzie di lavoro all’estero. E’ un modo per non partire con la “valigia vuota”: molte scuole con queste intese permettono di arrivare nelle città straniere desiderate fornendo un valido supporto in termini di assistenza e consulenza, dalla stesura della modulistica all’alloggio, finanche le sim telefoniche.